disegno di bambino impaurito

Le paure nei bambini

Nelle diverse tappe evolutive spesso i bambini attraversano delle fasi in cui possono insorgere delle paure. Ricorrente è la paura del buio o quella di stare da soli in una stanza. A volte si osservano paure per alcuni animali o per i temporali. In alcune situazioni, invece, la paura può diventare una reazione costante con cui il bambino si relaziona all’ambiente circostante, tanto da creare limitazioni nelle relazioni sociali e nelle attività quotidiane.


Ma che cosa è la paura? E’ normale provarla o è un’emozione da evitare o controllare?

La paura appartiene alla categoria delle emozioni primarie (come tristezza, rabbia, felicità, paura, disgusto, sorpresa), ovvero di quelle emozioni che non possono non essere sentite quando l’individuo le sperimenta perché rappresentano una traccia concreta lasciataci in dotazione dall’evoluzione. Insieme alle altre emozioni primarie, la paura è rimasta impressa nel nostro patrimonio genetico e nella nostra struttura psichica, proprio perché nel corso dell’evoluzione ha facilitato la sopravvivenza della specie umana rendendo più agevole la relazione di ciascun essere vivente sia con gli altri che con l’ambiente circostante. Per questo motivo è possibile attribuirle un significato adattivo: grazie all’insieme di reazioni fisiologiche che si attivano nel nostro corpo e nel nostro cervello quando avvertiamo un pericolo, siamo in grado di attivare reazioni comportamentali (come la fuga o la ricerca di riparo) che ci preservano dai pericoli.

Per questo motivo la paura è una emozione importante ed è normale che si attivi tutte le volte che non ci sentiamo al sicuro.

Pensando alle paure dei bambini dobbiamo sempre considerare che esse hanno un versante oggettivo, cioè comune a tutti (ad esempio un forte rumore improvviso, oppure un animale percepito come minaccioso) e uno soggettivo, ad esempio solo qualche bambino ha paura di andare a scuola al mattino.
Nei casi in cui un bambino racconti o manifesti una paura specifica è importante verificare i fattori concomitanti all’insorgere dell’emozione: a volte alcuni eventi critici di vita fanno sentire il bambino “non al sicuro” e questo comporta che si possano manifestare delle paure. Ad esempio un cambio di casa o di scuola, un viaggio inaspettato, l’arrivo di un fratellino o di una sorellina, ma anche situazioni più complesse come la malattia di un familiare, un lutto o la separazione dei genitori, possono scatenare nei bambini comportamenti di disagio, associati all’insorgere di paure.

Come adulti non possiamo mai dimenticare che, di fronte a situazioni che generano disagio emotivo, i bambini soprattutto i più piccoli rimangono incapaci di trovare le parole per raccontare ciò che stanno vivendo e per questo frequentemente trasformano il loro disagio emotivo manifestando comportamenti a volte bizzarri o strani (ad es. capricci, comportamenti oppositivi) o ancora attraverso sintomi di natura psicosomatica che trasferiscono sul corpo ciò che la loro mente non riesce a contenere ed elaborare.

Nei bambini la paura si manifesta in maniera differente in base al periodo evolutivo e alle differenze personali. Proviamo ad osservarne alcune caratteristiche in base alle tappe evolutive.


La paura nelle tappe evolutive

Nei primi tre anni di vita i bambini si possono paragonare a dei piccoli esploratori: attraverso i loro sensi e grazie alla loro curiosità affrontano nuove esperienze, imparando così a conoscere il mondo che li circonda. Muovere i primi passi permette loro di spostarsi nello spazio in maniera autonoma e di acquisire nuove competenze. Le prime forme di linguaggio aumentano i momenti di condivisione con l’adulto e le attività ludiche offrono opportunità di apprendimento che consentono al bambino di comprendere, gradualmente, la distinzione tra sé, come persona, e l’ambiente.

Tutte queste conquiste, tanto allettanti e stimolanti, permettono al bambino di esperire anche la possibilità di essere da solo di fronte a qualcosa di sconosciuto. Il timore principale in questo periodo di vita è proprio la paura del distacco dal genitore: rimanere da soli, senza l’aiuto e il supporto dell’adulto.

In questa fase di vita i genitori possono sostenere, con la loro iniziale vicinanza protettiva e il loro incoraggiamento, il comportamento esplorativo del loro bimbo. Per il bambino, sapere che l’adulto è accanto, è nello stesso tempo un incoraggiamento e una garanzia di avere conforto nel momento in cui il comportamento esplorativo dovesse tramutarsi in una possibile fonte di disagio. Per imparare a orientarsi nel mondo, i bambini hanno bisogno di tempo. L’adattamento a questa età è lento, per questo motivo spesso si consigliano momenti di routine o tempi strutturati e organizzati, perché cambiamenti a volte troppo repentini e poco prevedibili per il bambino, possono causare incertezza e quindi timore.

Nell’età prescolare, dai 3 ai 6 anni, il bambino aumenta le proprie competenze e con l’ingresso nella scuola dell’infanzia si ampliano le esperienze di vita comunitaria e di scambio sociale. In questo periodo, si sviluppa anche la “teoria della mente” dell’altro, i bambini imparano a riconoscere nell’altro gli stati d’animo: vedere un adulto di riferimento preoccupato o distratto può dargli un senso di insicurezza e di smarrimento.

Situazioni nuove, sulle quali non è possibile avere il controllo (ad es. cambio casa, separazioni per periodi di tempo lunghi, malattia ), possono far nascere una serie di paure come la paura del buio, del temporale o di alcuni animali.

Anche in questa fase il genitore può aiutare il bambino confortandolo e iniziando a nominare l’emozione, dandole un significato: spiegare ai bambini che avere paura è normale in alcune situazioni particolari (la provano anche i “grandi”!!) , permette loro di comprendere meglio quello che sta succedendo dentro di sé. Il conforto del genitore inoltre permette al bambino di sentirsi compreso e quindi al sicuro.

Nell’età scolare, dai sei anni in poi, il bambino aumenta la propria autonomia, non solo personale, ma anche cognitiva, inizia a formarsi un proprio punto di vista, seppur ancora molto concreto e semplice. In questa fase evolutiva, le esperienze sociali si moltiplicano e si caricano sempre più di significati, assume importanza il giudizio e la stima degli altri. Il suo ruolo all’interno della comunità cambia divenendo più attivo. Inizia così a costruirsi un’idea di sé in base alle esperienze vissute, sviluppando un dialogo interiore.

La paura principale in questa età è quella di trovarsi in ambienti ostili in cui non sarà accettato, fare brutte figure, prendere brutti voti, essere respinto dagli altri bambini.

In questa fase è importante che le figure genitoriali accompagnino il bambino in questo processo di integrazione sociale con comprensione e pazienza, permettendogli di familiarizzare gradualmente con le nuove situazioni.
Non bisogna dimenticare che i bambini faticano ad esplicitare quello che sentono o a raccontare quello che stanno vivendo. Spesso quindi trasformano il loro disagio emotivo in comportamenti a prima vista inadeguati o in sensazioni corporee (ad esempio con sintomi psicosomatici come il mal di pancia). E’ importante quindi che gli adulti imparino presto a riconoscere tali situazioni in modo da aiutare il bambino ad osservare e ad esplicitare proprio quei pensieri che causano tensione e malessere corporeo, ritrovando serenità.


L’Adulto di fronte alle paure dei bambini

Di fronte alle paure dei bambini (così come alle altre emozioni faticose, come la tristezza o la rabbia) gli adulti possono promuovere un processo di regolazione emotiva che si sviluppa in tre stadi. Il primo passo importante è la validazione dello stato emotivo, vale a dire riconoscere quella data emozione e darle un valore. Quando un bambino ci manifesta la sua paura o, quando capiamo che il suo comportamento rappresenta una manifestazione di timore, possiamo fargli capire e sentire che sappiamo di cosa è fatta la sua paura. Possiamo dunque offrire una spiegazione simbolica e metaforica che la mente del bambino sente subito vicina alla sua immaginazione e quindi più comprensibile. Ad esempio possiamo utilizzare un’immagine o un ricordo passato che possa far percepire al bambino quanto l’emozione provata sia naturale e simile a quella percepita in altre situazioni. Possiamo rivolgerci a lui con espressioni tipo: “Chissà che grande spavento hai provato!! Magari il tuo cuore ha iniziato a battere forte e hai sentito come un peso sulla tua pancia, ti sei sentito un po’ scombussolato, come quando c’è una bufera, o una tempesta!”. Oppure “anche alla mamma, o anche al papà a volte capita di prendersi uno spavento!” raccontando in maniera semplice quando non ci siamo sentiti al sicuro in una determinata situazione e che cosa abbiamo sentito nel corpo o nella mente…
Non è indicato, invece, dire ad un bambino che la sua paura non è adeguata o giudicarlo negativamente perché la prova. E’ bene ricordare che, se un bambino sperimenta che emozioni negative come paura e tristezza non possono essere espresse perché non sono ben accolte, crescerà con la convinzione che sono sbagliate. Tenderà quindi ad allontanarle dalla propria consapevolezza e a non percepirle, con la conseguenza negativa che poi saranno molto probabilmente somatizzate.
Successivamente, dopo aver accolto e dato valore alla sua emozione, l’adulto può attribuire un significato alla paura, facendo comprendere al bambino perché si è attivata quella emozione in lui, osservando insieme a lui le circostanze e il contesto in cui l’ha provata.

Infine, l’adulto può regolare l’emozione offrendo uno spazio di confronto e di ascolto in cui le emozioni possono essere nominate e comprese nella loro funzione, per essere poi accettate e gestite. In questo modo si potrà ristabilire l’equilibrio, riportando calma e tranquillità li dove si era scatenata la tempesta.

Non sempre questi passaggi possono risultare facili da attuare, ci vuole un po’ di allenamento anche per gli adulti. Un aiuto lo possiamo trovare nella lettura condivisa di alcune storie dedicate ai bambini. In questo modo l’adulto può usare delle immagini per visualizzare la situazione paurosa e raccontare una storia in cui il bambino può immedesimarsi. In tal modo anche l’adulto è facilitato nel permettere l’acquisizione di consapevolezza, fungendo da modello e insegnando al bambino a trovare una soluzione al problema.

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